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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/129

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Sonetti del 1833 119


LA TERRA E ER ZOLE.

     Ggira er Zole o la terra? Uh ttatajjanni,1
Imbottiti de rape e ccucuzzole!2
Abbasterebbe a gguardà inzù, bbestiole,
Senza stasse3 a ppijjà ttutti st’affanni.

     Invesce de spregà ttante parole,
Dite, chi è cche dda un mijjone d’anni
Essce sempre de dietro a Ssan Giuvanni
E vva ddietr’a Ssan Pietro?4 eh? nnun è er Zole?

     Ch’edè5 cquer coso tonno6 oggni matina
Che vve passa per aria su la testa?
Dunque è la terra o ’r Zole che ccammina?

     Sippuro7 nnun è er dubbio che vve resta,
Vedenno8 oggni minente9 e oggni paina10
Nun poté arregge11 a ttiené ggiù la vesta.12

27 novembre 1833.

  1. Stolidi.
  2. [Cucuzza: zucca. Cucuzzola: zucchetta.]
  3. Starsi.
  4. Chiese de’ due Santi, prese pe’ due punti orientale e occidentale di Roma.
  5. Che è?
  6. Quell’oggetto rotondo.
  7. Seppure.
  8. Vedendo.
  9. Donna del volgo, specialmente di alcuni rioni.
  10. Cittadina.
  11. Non poter reggere, riuscire.
  12. A tener giù la vesta. La malizia del nostro romanesco riproduce in certo modo le obiezioni vecchie de’ frati intorno agli uomini a capo-in-giù, ai pozzi rovesciati, e a tante altre luminose considerazini che fruttarono la frusta inquisitoriale a Galileo Galilei. — Vorremo noi dire che fosse quello il primo e l’ultimo errore de’ frati e de’ loro confratelli da chierca?