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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/157

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Sonetti del 1834 147


LA REGAZZA CÓR MUSO.1

     Sora spósa,2 che! avete er pidiscèllo,3
Che mme4 state color de terroriana?5
Ve s’è ssciorto er bellicolo6 in funtana?7
Dite eh? vve fa arivorticà er budello?8

     La volete sapé, ccore mio bbello?
A vvoi v’amanca quarche ssittimana?9
Lo sapete ch’edè? Voi, sora sciana,10
Séte matta in ner mezzo de ciarvello.

     Come sarebb’ a ddì? ccosa ve dole?11
Animo, fòra, fateve usscì er fiato.12
Forte: nun masticamo le parole.

     L’avete detto a mmé cche ssi’ impiccato?
E io ve dico ste du’ cose sole:
Fate per voi, perch’io, fijja, ho spallato.13

14 gennaio 1834.

  1. La amante in collera.
  2. Spósa si dice per titolo di cortesia a tutte le donne, delle quali non si sappia il nome. Talora è anche un’ironia usata con quelle che si conoscono.
  3. Siete trista? come i polli quando diconsi avere il male del pedicello. [Specie di foruncolo sul codione.]
  4. Mi.
  5. Del colore di terroriana: del color terreo che dà l’ira.
  6. Vi si è disciolto l’umbillico, Vale: “siete stranita?„
  7. Cioè: “stando in fontana.„
  8. Rivoltarsi il budello, equivale al senso espresso nella nota 6.
  9. Mancare altrui qualche giorno, qualche settimana dell’anno, vuol dire: “esser pazzo.„
  10. Ciana, donna dedita all’adornarsi con caricatura.
  11. Cosa avete?
  12. Parlate.
  13. Espressione tolta dal giuoco di carte chiamato la bazzica, e significa: “Prendete per voi le vostre parole, poichè io son fuori di questo giuoco a cui mi chiamate.„ [Spallato: sballato.]