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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/316

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306 Sonetti del 1834

LA BBONA SPESA

     Ma eh? cche spesa! appena me l’ideo!1
Tre ppiastre un sciallo ch’è una tel-de-raggno!2
Ggnentedemeno3 c’ha ppreso el còmpaggno
La governante del zor don Matteo!

     E mme lo confessò ppuro4 l’ebbreo
Che llui nun cià5 un bajocco de guadaggno.
Pe’ ffortezza poi... disce ch’è fustaggno,6
E cche ppe’ mmoda, se pò ddà al museo.

     Me lo capisco inzin da mé, cc’a spenne7
Ciò ppropio la paggnotta8 e ffo pprodiggi:
E la robbaccia a mmé nnun me se venne.9

     Eh, ss’io fussi una donna de quadrini!
M’abbasterebb’er core a li luviggi
Fàjje fà la figura de zecchini.10

21 aprile 1834

  1. Posso appena appena concepirla.
  2. Ogni cosa sottile pare subito una tela di ragno. L’autore di questi versi ha udito applicare un simile paragone anche all’ostia eucaristica.
  3. Basti solo il dire, ecc.
  4. Pure.
  5. Non ci ha.
  6. Fustagno, frustagno.
  7. Spendere.
  8. Ci ho proprio la pagnotta: ci sono attagliata, adatta.
  9. Non mi si vende.
  10. Ci siamo serviti del confronto di queste due monete, perchè il luigi è noto alla plebe solo di nome pe’ varii contratti ne’ quali s’impiega cogli stranieri onde illuderli meglio colla minor cifra numerica, che non si farebbe per avventura col calcolo a scudi: e lo zecchino d’altronde rappresenta agli occhi del volgare l’eccellenza della moneta e il non plus ultra della ricchezza. Quindi nella mente del popolo può uno zecchino rappresentare un numero indefinito di luigi, come di altri pezzi monetati.