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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/432

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422 Sonetti del 1834


LA GOLACCIA.[1]

     Quann’io vedo la ggente de sto monno,
Che ppiù ammucchia tesori e ppiù ss’ingrassa,
Più[2] ha ffame de ricchezze, e vvò una cassa
Compaggna ar mare, che nun abbi fonno,

     Dico: oh mmandra de scechi,[3] ammassa, ammassa;
Sturba li ggiorni tui, perdesce[4] er zonno,[5]
Trafica, impiccia: eppoi? Viè ssiggnor Nonno
Cór farcione[6] e tte stronca la matassa.[7]

     La morte sta anniscosta[8] in ne l’orloggi;
E ggnisuno pò ddì:[9] ddomani ancora
Sentirò bbatte[10] er mezzoggiorno d’oggi.

     Cosa fa er pellegrino poverello
Ne l’intraprenne[11] un viàggio de quarch’ora?
Porta un pezzo de pane, e abbasta quello.

27 ottobre 1834.

  1. L’avidità.
  2. Che, quanto più ammucchia tesori e s’ingrassa, tanto più ecc.
  3. Ciechi.
  4. Perdici.
  5. Il sonno.
  6. Col falcione.
  7. Tutti i progetti, i disegni ecc.
  8. Nascosta.
  9. Nessuno può dire.
  10. Battere.
  11. Nell’intraprendere.