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Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/153

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Sonetti del 1838 143

LO SFRAPPONE.1

     Si2 sséguiti accusì, Cchecco, la sbajji.
Fijjo, co’ st’impropèri vacce piano.
Chi è llesto de lingua e nno de mano,
O la tienghi a stecchetta o sse la tajji.

     Uno ch’annassi3 a rregola de rajji,4
Crederìa ch’un zomaro marchisciano5
Se maggnassi6 un leone sano sano7
E un’armata co’ ttutti li bbagajji.

     Certuni a cciarle so’8 spazza-campaggne,9
Eppoi a ffatti se la fanno sotto,
E arrivi ar punto de vedelli piaggne.10

     Er mannatàro11 ch’era un omo dotto,
Sai che ddisceva a sti spacca-montaggne?
“Ce vò mmeno a inzurtà cch’a ddà un cazzotto.„

1° febbraio 1838.

  1. Spavaldo.
  2. Se.
  3. Che andasse.
  4. Di ragghi. [Ragli.]
  5. [Marchigiano. Asinus de Marca si diceva proverbialmente a Roma, allora più assai che adesso, tanto nel senso proprio, perchè le Marche hanno belle razze di asini, quanto nel metaforico, per ingiuria alla patria di Raffaello, di Leopardi, di Rossini e di tante altre glorie del nome italiano.]
  6. Si mangiasse.
  7. [Intero intero.]
  8. Sono.
  9. [Nome che si suol dare ai briganti più temuti, e he un tempo di dette anche la trombone, di cui per lo più andavano armati.]
  10. Di vederli piangere.
  11. [V. la nota 1 del sonetto: Er zoffraggio, 8 dic. 32.]