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Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/181

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Sonetti del 1843 171

L’INCONTRO DER BECCAMORTO.1

     Padron Zanti!2... me sbajjo? — Ôh ssor Pasquale! —
Filiscia3 notte. — Grazzie: bbona sera. —
Che nn’è de tu’ fratello? — Sta in galera. —
Poveraccio! E ttu’ mojje? — A lo spedale. —

     Vanno bbene l’affari? — Ah! vvanno male. —
E da quanno? — Dar tempo del collèra.4
Ma ssento vojji aritornà.5 — Se spera. —
Me l’ha ddetto un dottore. — E a mmé un spezziale. —

     Quanti sta sittimana? — Eh! appena dua. —
E ll’antra?6 — S’annò llisscio.7 — E ll’antra avanti? —
Uno, madétta8 l’animaccia sua! —

     E ttu mmuta parrocchia. — È ttempo perzo.9
Ma er curato che ddisce, padron Zanti? —
Disce quer che ddich’io: sémo a ttraverzo.

21 gennaio 1843.

  1. [Cfr. il sonetto: Li bbeccamorti, 18 marzo 1834.]
  2. Colla z aspra, come in prezzo. — Sante, nome proprio.
  3. [Felice.]
  4. [Cioè dal 1837.]
  5. [Voglia ritornare. — Variante popolare: Disce che vojji aritornà.]
  6. E l’altra?
  7. Si andò liscio: non si fece nulla. Metafora sorta dal gergo del giuoco delle bocce.
  8. [Maleddetta. — Var. pop.: mannaggia.]
  9. Perduto.