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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/121

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Sonetti del 1831 111

LA BBOTTA DE FIANCO.1

     E cchi vv’ha ddetto mai, sora piccosa,
Che in ne la zucca nun ciavete sale?
Io nun ho detto mai sta simir-cosa,
Ché discènnola a vvoi, direbbe2 male.

     Anzi, le bburle a pparte, sora Rosa.
Pò èsse tistimonio er zor Pascuale,
Si jjerzera votanno l’orinale
Nun disse3 che vvoi sete appititosa.

     E cciaggiontài,4 guardate si cce còjjo,5
Ch’ortr’ar zale ch’avete in ner griterio,6
Tienete er pepe drento a cquell’imbrojjo.

     Scappò7 allora ridenno er sor Zaverio:
“Co’ ssale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo,
Poderissimo8 facce9 er cazzimperio.„10

10 novembre 1831.

  1. Il frizzo.
  2. Direi.
  3. Dissi.
  4. Ci aggiuntai (aggiunsi).
  5. Ci colgo.
  6. Criterio.
  7. Scappare, in romanesco, vale anche: “uscir dicendo.„ [E, con l’aggiunta del fuori, vale lo stesso a Firenze, quantunque manchi anche al Rigutini-fanfani: — “Che bella cosa,„| scappò fuori di punto in bianco Gervaso, che Renzo voglia prender moglie...„ Prom. Spos., cap. VII.]
  8. Potremmo.
  9. Farci.
  10. Nome volgare della salsa, composta cogli anzidetti ingredienti, [e che a Firenze si chiama “pinzimonio.„]