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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/32

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22 Sonetti del 1830

FACCHE E TTEREFÀCCHE.1

     Quella bbocca a ssciarpella,2 che a vvedello3
Pare un spacco per dio de callarosta,4
Oppuramente5 er bùscio6 de la posta,
O er culetto de quarche bberzitello;7

     E nun ha avuto mo la faccia tosta8
De chiamàmme9 carnaccia de mascello?
Ma io, nun dubbità, cché llì bberbello10
J’ho detto er fatto mio bbotta-e-rrisposta.

     Quanno ha ssentito er nome de le feste,11
Lui è rrimasto un pizzico de sale:12
Ché lo sa cchi è sto fusto,13 si ho le creste.14

     Oh vvedi un po’! nnun ce sarebbe male!
Ma ffa’ cche vviènghi15 a scaricà le sceste,16
Te lo fo ttommolà17 ggiù ppe’ le scale.

Terni, 4 ottobre 1830.

  1. [Proverbio.] Fac et refac. La compensazione.
  2. Bocca torta.
  3. Vederlo. [A vederlo nella bocca s’intende.]
  4. Caldarrosto. [Calda-a-rosto: la “bruciata,„ che si castra nel mezzo.
  5. Oppure.
  6. Il buco.
  7. [Bel-zitello]: ragazzo, [bellimbusto].
  8. La sfrontatezza.
  9. Di chiamarmi.
  10. Belbello.
  11. Dare altrui il nome delle feste: ingiuriarlo.
  12. È rimasto avvilito.
  13. Chi sono io.
  14. Se sono irritata.
  15. Venga.
  16. Scaricar le ceste: qui per...
  17. Tombolare ecc.