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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/334

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324 Er còllera mòribbus


18.

     E cquello che ddisceva Titta[1] Papi
Ch’er collèra ha ppavura a annà[2] ppe’ mmare?
Sentirete che bbuggera, compare,
E ssi cc’è da fidasse de sti ssciapi![3]

     Io mo er collèra a Pponte Quattro-capi[4]
Ho inteso da un zorgente[5] militare
Che ggià ha ffatto mortissime caggnare[6]
Ggnente meno[7] ch’all’isola de Crapi.[8]

     Dunque lui p’er marittimo sce viàggia:
Perch’io credo ch’all’isole navale
A un dipresso sce s’entri da la spiaggia.

     Come poi viè cquer zervitore ingrese,
Je vojjo dì[9] ssi[10] un’isola è un locale
Che sse pòzzi[11] isolà ccome un paese.

31 agosto 1835.


  1. Giambattista.
  2. Andare.
  3. E se c’è da fidarsi di questi imbecilli.
  4. Nome venutogli da alcuni ermi [sic] di Giano quadrifronte ivi collocati. [Questa nota non è nell’autografo del sonetto, ma in uno di que’ foglietti a parte, che ho ricordato più volte anche nel presente volume.]
  5. Sergente.
  6. Moltissimo strepito.
  7. Niente meno.
  8. Di Capri.
  9. Gli voglio dire, domandare.
  10. Se.
  11. Si possa.