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282 sotto il velame

segno„;1 e massimo in Bocca e in Bruto. Il quale si storce tra le mascelle di Lucifero, come soffia nella barba Caifas.

Ora la pietà in questo regno della frode vive ancora, un poco, nel secondo dei tre cerchietti; è spenta nel terzo, dove non si esercita se non una volta; e per i figli di Ugolino, non per lui, per il quale è quasi ammessa la crudel pena2 che ebbe a soffrire. Ma nel secondo va ancora in volta. Dante piange, quando Virgilio gl’intima, che la pietà lì vive quando è morta.3 Il momento è solenne e significativo. Dante si rivolge al lettore, che prenda frutto di sua lezione; come a lui si rivolge Virgilio, poichè la sua visione gli frutti. I dannati della bolgia hanno il volto tornato dalle reni. È lor tolto il veder dinanzi. Chi vede dinanzi è prudens, cioè porro videns.4 Assomigliano essi a quelli che hanno mala luce, e vedono ciò che è lontano, e ciò che è presso non vedono.5 Qui Virgilio, oltre l’ammonimento ch’esso fa a Dante e Dante fa al lettore, espone a lui l’origine di Mantova lungamente, e conclude:6

  1. Inf. XXXII 133. Per il conte Ugolino, rimando alla «Minerva oscura». Non posso che confermare quanto di lui ho scritto. Posso aggiungere che la parola «bestial segno» riconduce alla bestialità che Aristotele ha tanto di mira, dei cannibali: la quale bestialità di Ugolino è poi attestata da un’antica cronaca edita dal Villari (I primi due secoli della storia di Firenze p. 251) e già a me indicata dal Torraca: Rass. Bibl. d. lett. it. III 250 sg.
  2. Inf. XXXIII 85 seg.
  3. Inf. XX 25.
  4. Vedi più su a pag. 30.
  5. Infatti l’an. fior. comenta: «Et ancora si può qui moralizzare questo loro andare piccino ch’è per opposito del trascorrere ch’egliono feciono collo intelletto in giudicare le cose di lungi et lontane, et in questo modo perderono et non seppono le presenti».
  6. Inf. XX 99.