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424 sotto il velame

l’Acheronte e Caronte, e subito dopo, l’uno e l’altro, un gran vagito di fanciulli;1 e poi Minos; e le vittime d’amore;2 e poi (differenze ce ne sono, e quali!), poi de’ compagni d’armi e di patria,3 che non somigliano, per quanto concittadini alcuni del visitatore, a Ciacco, ma sì a quei guerrieri e partigiani di cui Dante chiede a Ciacco, così stranamente, per chi non ci pensa su:4

               Farinata e il Tegghiaio che fur sì degni,
               Iacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,
               e gli altri che a ben far poser gl’ingegni.

In vero Farinata non assomiglia per qualche cosa a Deifobo armipotente? e per qualche altra a Deifobo mutilato non assomiglia il Mosca “che leva i moncherin per l’aura fosca„?5 Inoltre Farinata è, diciamo, un nemico, come quei grandi dei Danai che trepidano di spavento al veder il baglior dell’armi nel buio.6 Non volge egli le spalle, anzi erge la fronte e il petto e leva le ciglia. Ma codesto è lo scioglimento diverso d’un consimile dramma. E Dante poi trova gente che rotola pesi, i quali Enea non trova subito dopo i suoi compagni e avversari di guerra, ma ne sente narrare; subito dopo, chè sono nel Tartaro: saxum ingens volvunt alii.7 Enea si trova avanti le mura del Tartaro, e vede le mura di Dite, alla cui porta depone il ramo d’oro per Proserpina. Dante vede mura d’una città, roggia come il Tartaro, ch’egli chiama Dite come l’altra, della quale pur fa

  1. Aen. VI 426.
  2. ib. 432, 442 seq.
  3. ib. 481 sqq.
  4. Inf. VI 79 seg.
  5. Inf. XXVIII 104.
  6. Aen VI 489 sqq.
  7. ib. VI 616.