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Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/193

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   168 libro quarto

pre aspetta miracoli da un governo nuovo, si andava persuadendo che dal dominio dell’Angioino non solo gli sarebbe venuta piena libertà di vivere a sua posta, ma di esser anche fatto immune di ogni gravezza fiscale e de’ balzelli. Ma presto l’illusione svanì: presto seppe il popolo che il francese Carlo non vedeva più in là che i suoi francesi, i quali correndo il reame da affamati predoni, facevano scempio insopportabile delle pubbliche e private sostanze. Non diminuite le imposte, ma cresciute due tanti; aggiunti nuovi aggravii a’ vecchi; asprissimo il nuovo governo; Carlo in odio a tutti. Non era persona che non riandasse i tempi di Manfredi. Quello essere stato principe generoso, dicevano; quello principe umano e desideratissimo. Ciò che prima era paruto pessimo, ora era ottimo; quel nuovo che si aspettava a braccia aperte, e si accoglieva con tanto tripudio, ora era pessimo. Da’ lamenti si trascorse a’ fatti; Corradino fu invitato, venisse dall’Alemagna a ritogliersi la sua eredità; venisse, e sarebbe il ben venuto in mezzo alla gioja comune. E Corradino veniva (1269), ma era rotto da Carlo nella battaglia di Tagliacozzo, e fatto prigioniero. In un attimo tante belle speranze e la sua testa cadevano recise sul Mercato di Napoli.

Non possono dirsi a mezzo le crudeli stragi seguite alla clamorosa vittoria. Quelle improvvide città, cui la venuta di Corradino aveva scoperte favorevoli a questo principe sventurato, furono messe all’ultimo esizio da’ Francesi. Aversa fu rasa; fu rasa Potenza. Desolazioni, rovine ed incendii segnavano per ogni dove i passi della gente straniera. Nè minore strazio fecero i Francesi della Sicilia. Carlo ridusse i Siciliani ad una servitù senza esempio, gravandoli di nuovi tributi; di molti loro privilegi spogliandoli. I Francesi insolenti non solo mettevano mano agli averi; ma, ciò che fa viva ed immortale impressione in un popolo, insidiavano con bestial libidine e violenza all’onore delle più nobili ed oneste giovinette isolane.

Cade qui il destro di osservare che a questi tempi le armi da taglio, che prima erano tanto adoperate in Italia, cominciarono a disusarsi; e s’introdussero in lor vece quelle da punta, o sia gli stocchi ed altrettali, de’ quali valevansi i Francesi condotti da Carlo d’Angiò. Essendo i guerrieri di quell’età tutti vestili di ferro, poco danno facevano loro le sciabolate; ma quando alzavano il braccio per ferire, il Francese incarnava all’avversario una stoccata sotto l’ascella, e così le più volte il metteva fuori di combattimento.

Per l’oppressione de’ Francesi nacque ne’ Siciliani l’intenso desiderio di levarsi dal collo il giogo dell’angioino Carlo (1282). Non mancava all’effetto che una favorevole occasione; e fu presta. La