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Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/261

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   236 libro quinto

la vista d’inchiodar le artiglierie nemiche, qualora gli fosse data licenza di uscir fuori a far tale effetto. Ma costui, da quel malvagio ch’egli era, come fu fuori si presentò ad Alfonso, e lo accertò di dargli in mano il castello senza difficoltà, sì veramente che gliene seguisse una larga ricompensa. E convenuto col Duca il tempo ed il modo, il Gabba Dio tornò dentro la terra, dando sicurtà a quella gente di aver eseguito per appunto il disegno. Poi quando fu tempo il Gabba Dio fece da su la rocca i segnali stabiliti, ed i nemici corsero subito a darvi la scalata, mentre da ciò niente si guardavano gli assediati. Tutto allora fu confusione, uccisione e dolore. La Motta Rossa fu saccheggiata, distrutta ed arsa, ed i suoi abitatori furono trasportati in Reggio, giusta il volere di Alfonso. San Lorenzo fu ancora espugnato, ed in queste prove i Reggini non solo soccorsero il Duca di provvigioni, di armi e di soldati, ma gli furono larghi di un donativo di ducati mille duecento: e molti sagrifizii sostennero nell’ajutarlo all’oppugnazione de’ luoghi sopradetti, e specialmente delle Motte Rossa ed Anomeri. Santagata nondimeno durò a qualunque sforzo di Alfonso; perchè il Grimaldi vi si era chiuso co’ suoi, ed aveva reso quel castello inespugnabile. Ciò vedendo il Duca, torse il cammino per Reggio, ove fu accolto da’ cittadini con feste grandissime e straordinarie.

Dopo l’espulsione del Cardona, Berlingieri Malda era rimasto padrone del castello di Reggio, nè in modo alcuno aveva voluto farne la cessione. Trovandosi presente il Duca ne fu pattuita la consegna, ed i cittadini, per contratto fatto col regio Commissario e Consigliere Antonio Gazo, si obbligarono di pagare al Malda ducati mille per tal consegna sulle rendite della gabella del vino. Tante gravezze eran portate da’ Reggini con lieto animo, dopo essersi sottratti alla tirannia feudale.

VI. Alfonso da Reggio si era recato in Cosenza (1464) ma intanto da per tutto nel reame le cose di Giovanni d’Angiò erano volte in basso dalla fortuna, la quale andava prosperando di bene in meglio quelle di Ferdinando d’Aragona. Da ultimo il principe angioino, a cui poco era mancato che l’agognato reame non gli venisse tutto in potere, si vide condotto a dover dipartirsi mesto ed accorato da quelle regioni, ov’entrando era stato ricevuto con tanto gaudio ed amore. Ristrettosi dapprima nell’isola d’Ischia, quindi imbarcossi e fece via per Marsiglia.

Giovanni Battista Grimaldi, che per due anni aveva fatto fronte a qualunque colpo nemico nel castello di Santagata, donde usciva sovente a guastare il paese, non ne fece la dedizione se non quando Gio-