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Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. II, Fibreno, 1857.djvu/119

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capo quarto 109

figura ed alla mente sua pinge, che qua entro vive un popolo tanto felice quanto il paese è bello; ma grazia con infortunii orrendi in queste amene sponde si congiungono.

«Funestissime cose sparse la fama di Reggio, al tempo di cui andiamo descrivendo gli accidenti. Veramente a funeste cose soggiacque, ma non tanto quanto il grido ne corse. Il tremuoto del dì cinque febbrajo ne cominciò il guasto, quello del dì sette il continuò, finalmente quello de’ ventotto di marzo gli diè l’ultimo scrollo. Non vi fu chiesa, non casa, non edifizio pubblico o privato che non sia stato o ridotto in frantumi, o di tal sorta scassinato e scommesso, che parte si rovesciò rovinando, parte, avvegnachè ancora in piè si reggesse, divenne inabitabile per chiunque da mala imprudenza sospinto non fosse. Ma in questa ultima città delle Calabrie, oltrechè la più gran parte degli edifizii rimase ritta sulle fondamenta, quantunque screpolata e rovinevole fosse, non vi si osservarono nè voragini aperte, toltene alcune poche e leggiere crepature, nè turbini di venti irresistibili, nè inondazioni di acque più irresistibili ancora, nè eruttamenti di arena cretacea; o ciò sia proceduto da minor forza nel fomite scrollante, o dalla maggiore larghezza che in quel luogo ha lo Stretto, a comparazione di quello che Scilla dal capo Peloro, chiamato oggidì Torre di Faro, divide. Pochi abitanti perirono, poco più di cento fra più di diecimila; imperocchè avvertiti dalla prima scossa de’ cinque che fe’ traballare non ruinare le case, si erano, i pericolosi abituri abbandonando, riparati alla campagna sotto le baracche, cui per un tale bisogno subitamente avevano erette. Gran disagio, gran disgrazia era pur quella, poichè abbandonate le bisogne della vita comune e sospesi gli artifizii, una universale miseria tormentava gli spaventati Reggini. A tanto strazio, prima che il governo accorresse, soccorso diede il buon Arcivescovo Capobianco, prelato pieno così di umanità come di religione. Per procurar sollievo al suo misero gregge, dispose in suo pro degli ornamenti superflui della chiesa, ed i suoi cavalli e le carrozze e il mobile più prezioso, oltre il denaro che in pronto aveva, nella pia operazione usò.» Il giorno sei di febbrajo distribuì ai più bisognosi ducati mille che fece prestarsi dal canonico Candeloro Malacrinò, ed altri ducati ottocento dispensò il giorno otto, anticipatigli dal ricco canonico Lorenzo Giuffrè, cui diede in pegno un calice di oro.» Un caso sopramodo lagrimevole trovò una pietà condegna.

«Tremarono e rovinarono le Calabrie. Il profondo mare non interruppe la mortale causa: tanto essa era entro le più cupe e più