Vai al contenuto

Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. II, Fibreno, 1857.djvu/76

Da Wikisource.
   66 libro ottavo

cittadini, che cominciarono a tremar di paura, i medici ebbero carico di esaminar l’accaduto. Costoro conchiusero che non vi era ragione a spaventarsi, perchè quelle persone erano finite di febbre maligna, come portava la stagione. Nondimeno fu loro ordinato di dar cotidiane relazioni della pubblica salute, e di proporre le cautele che credessero più congrue a conservarla. Il Fucetola però, contro il parere di tutti gli altri medici, tenne pur detto che le due sorelle Spanò eran morte di peste. Ma al Fucetola, uomo espertissimo, prevalse il volgo degli altri medici; e mentre il tremendo morbo si dilatava irresistibilmente, facevasi intendere agl’infelici abitanti che stessero di buon animo, mentre alla comune salute veglierebbe oculatissimo il pubblico Magistrato.

In questo, giunsero in Reggio dieci bastimenti procidani carichi di grasce di ogni fatta, con ordine che dalle regie galeotte fossero accompagnati sotto la cittadella di Messina, coll’assistenza di due Canonici della Metropolitana, e del governatore. Il che dopo tre giorni si eseguì, e la roba fu sbarcata nel luogo detto Punta Secca. Ma il Comandante della cittadella e gli uffiziali della piazza di Messina dolorosamente risposero, i Messinesi e le milizie non aver più bisogno di quelle provvigioni; poichè di cinquantamila abitanti, orribile a dirsi! non erano ivi rimasti in vita che cinquemila; e di quattro battaglioni di soldati, raggranellando i superstiti, non se ne poteva formare che mezzo! Sicchè quelle grasce restarono in gran parte, e per più tempo, nel luogo dello sbarco; ed andava servendosene la poca milizia, ch’era nella cittadella.

Frat’Orazio Griso, il quale, come sopra dicemmo, favoriva il traffico delle merci, che da Villa S. Giovanni s’introducevano di soppiatto nella casa di Paolo Spanò, s’infermò anch’egli a’ dieci di luglio, e vinto dal rimorso di aver tanto contribuito a portar la pestilenza nella patria sua, gridava che nissuno gli si appressasse, perchè egli era appestato. Ed in vero a capo di cinque giorni miseramente morì; e chi il tenne per matto, e chi cominciò a temere di quel che veramente era. Il Preside Francesco Carfora vedendo aggravarsi le cose, pensò di partirsi da Reggio, e se ne andò a Catanzaro, dove, essendo già precorse le notizie della peste fra noi, penò ad esser ricevuto. A sedici di luglio morì anche in brev’ora una donna ch’era stata a far visita alla Spanò inferma. Allora il cavalier Felice Laboccetta, a cui il Preside partendo aveva lasciato pieni poteri, ordinò subito che fosse incordonata la casa della defunta, conformemente al consiglio del medico Fucetola. Ma i sindaci e parecchi altri osservavano che con tale cautela, inopportuna e precoce, veniva a sgo-