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Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. II, Fibreno, 1857.djvu/99

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capo terzo 89

dini, s’erano ritirati nella torre di Pentimele, ove recatosi il Prelato cercò ogni via di vederli, ma invano. Essi vollero a bel disegno evitare il suo incontro ed i suoi rimproveri, e si stettero invisibili. Mortificato e coll’amarezza in cuore, rientrò in città, e fattosi al castello, ove stava il governatore e la soldatesca, si sfogò con gravi parole contro lo sleale procedere de’ regii Ministri; e poi si trasse al palagio arcivescovile profondamente addolorato. Ah, ma il carro era al chino, e bisognava che corresse precipitoso e rovinevole. Cominciarono gl’imprigionamenti, le persecuzioni, i supplizii: si fecero lunghe liste di chi avea preso parte al tumulto, di chi lo avea favorito, di chi non avealo avversato. Tutti i cittadini tremavano, gli innocenti erano messi a fascio co’ rei, gli onesti e gl’indifferenti co’ faziosi. La sbirraglia era in festa, ed in continuo affacendarsi; gli spioni ed i calunniatori erano nella loro beva. L’Arcivescovo diceva al Preside ed al Billè parole di fuoco, ma indarno; indarno protestava che sarebbe andato a Napoli in persona per far nota al governo tutta la verità delle accadute cose, le loro perfidie, i tradimenti loro. Il buon Polou gittava le parole ed il tempo.

Un nuovo bando fu emanato la mattina del quindici di agosto: dovesse fra ore dodici farsi consegna non solo delle altre armi da fuoco che restavano in mano de’ privati, ma anche di ogni altra sorta di arme, fosse o non fosse proibita: a’ contumaci, pena la testa, e l’arsione delle case. Il disarmamento fu eseguito con rigor massimo; il Ferri ed il suo di Simone non capivano in se della gioja, facendo i bravi ed i soprastanti. La persecuzione continuava fierissima; ma qualunque premura di aver in mano Franco Rodino, e Saverio Pileci, già caporioni del movimento, restò senza frutto. Costoro nè vollero deporre le armi, nè si lasciaron cogliere da’ regii; che quando tutti gli altri tenevan fede nella promessa del Preside, essi, antivedendo il mal giuoco, avevano pigliato modo alla salvezza loro, uscendo quattamente della città, e mettendosi in luogo sicurissimo. Erano risoluti di lasciar prima la vita che farsi prendere a’ berrovieri del Ferri. Ed il Preside ordinò che fosse dato il fuoco alle case di que’ due, ed a quanta roba era dentro di quelle. Esaminare e coartar testimoni, compilar processi fuor de’ modi ordinarii e con quegli elementi che suggeriva un ardente desiderio di vendetta, era tutta materia affidata al Ferri ed al suo attuario. Il Comandante Burgati, per lavarsi dell’imputazione che sordamente gli si dava (di aver dato orecchi a’ malcontenti nel fatto della rottura della porta di S. Filippo) si recò in persona nella contrada Calamizzi per far mettere a fuoco le case del Rodino, le quali caddero arse e frantumate sotto