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cui si pone la scrittrice, dalle cose che scorge, da quelle che sottrae, dalle ombre e dai lumi; insomma, non da quello che essa dice — intromettendosi non richiesta nell’azione — ma da quello che mostra, e sa vedere, dell’azione stessa. Così l’obbiettività non è mai violata, ma la produzione artistica non è più un lavoro fotografico, è un quadro: non ci dà una parte fortuita e inanimata, slegata, del vero — ma la riproduzione del vero in un disegno organico che lo riattiva e lo anima; così, e non altrimenti, intendiamo noi l’opera d’arte; così, e non altrimenti, noi abbiamo sempre inteso il realismo.
(Da Cuore e Critica).
A. Ghisleri.
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Queste 619 pagine, che io dichiaro d’aver lette senza interruzione, portano l’impronta di una lunga, paziente ricerca nella vita dell’arte, e d’un delicato gentile amoroso sentimento della vita comune. Qua e là, quando questo romanzo si alza fino alla speculazione filosofica della vita, e vi tace l’idilio, e la passione vi è temperata dal ragionamento, e l’ala del destino vi batte robusta, nessun sospetto vi prende che l’opera della donna vi sia abilmente celata: ma in molte parti essa si rivela, in più di un contrasto si afferma; in qualche figura rimane e risplende. Qui sta la doppia vittoria che la signora Bice Speraz riporta con questo frutto dell’esperienza sua di donna e di artista.
(Dal Diritto).
O. Grandi.