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— È molto tempo che tu soffri — disse continuando a suonare. — Quando Annetta era malata attribuivo il tuo mutamento al dispiacere che tu dividevi con noi, alle notti vegliate, ai mille disagi. Ho però notato presto che, mentre lei guariva, tu peggioravi. Quante volte ti ho vista con gli occhi rossi, il viso abbattuto. Quante volte ho sorpreso i tuoi sospiri involontari, i tuoi sguardi fìssi nel vuoto, e certi scatti automatici rivelatori di una occulta e dolorosa preoccupazione!.... Aspettavo le tue confidenze. Perchè non me le hai fatte?

Egli tacque, continuando a osservarla, aspettando che rispondesse qualche cosa.

— Sto poco bene, non so neppure io. Sarà il cambiamento di stagione. Ti ricordi? Anche l’anno passato mi sono sentita poco bene.

— Mi ricordo, sì. Era tutt’altra cosa. L’anno passato soffrivi emicranie, dimagravi; ma eri sempre allegra e contenta. Adesso è la tua anima che si dibatte contro un male ben più grave. Rispondi, Emma, che male è?

Ella non rispose.

Invece, Marco Fabbi gridò dal salottino:

— Bravo Leopoldo! Così va bene! Ah, se tu suonassi un po’ più spesso di questa musica, quanto faresti meglio per l’anima e per il corpo!

Fu una risata generale intorno al tavolino dei giocatori; i due fidanzati vi fecero eco.