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— Ebbene dunque, cosa c’è? Cos’hai?... Non sei contenta?... Non mi vedi tutti i giorni?... Sicuro che devo occuparmi di quell’altra... per ora. Sapevi bene che la dovevo sposare! Con l’impegno preso, anche dalla mia famiglia, non potevo mancare. Se per caso moriva, e tu stessa temevi che morisse, mi sarei creati troppi rimorsi e troppi nemici, diciamo...

Emma ascoltava sbalordita.

Ah! le duecentomila lire, e la laurea di avvocato che voleva prendere, se otteneva un trasferimento a Pavia come desiderava: la carriera, i denari! Ella aveva dimenticato quelle cose tanto importanti, povera sciocca, povera ingenua che era. Ma ascoltandolo, ricordava tutto, e la feroce verità appariva chiara, limpida al suo spirito desolato.

Scoppiò in un pianto dirotto.

Paolo indietreggiò, seccatissimo, come tutti gli uomini quando non amano.

— Tu piangi troppo, Emma. Sei troppo sentimentale. Me ne sono accorto l’ultima volta. È una vera noia quando le donne piangono. E io che ti credevo una birichina, furba e svelta, nata per godere? Figurati che delusione è stata la mia. Per fortuna, Annetta ha perso il brutto vizio, altrimenti con la miglior volontà, non sarei capace di sposarla.

Facendo uno sforzo supremo per quel senso di dignità che accompagna il vero dolore, Emma frenò le sue lagrime e cercò di ricomporsi.