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dersi, il bersaglio di Ninì. Essa arrivò a casa affannata.

— Quanti denari!... — Li aveva tutti in una cassetta. — Guardate! Prendine un pochi tu, mamma; e anche tu papà; così! Ho una paura maledetta che venga Alberto a spogliarmi. M’è parso di vederlo in fondo al viale. Se ha visto il lavorare che ho fatto, verrà di certo.

— Speriamo che Hector lo addenti — disse Gioachino con accento feroce, affrettandosi a intascare il denaro.

I due vecchi si ritirarono nello scomparto in fondo. Emma e Nini prepararono le loro piccole brande nel salottino, l’una sull’altra, come nei bastimenti.

Hector abbaiava disperatamente.

— Papà! papà! non hai ritirata la scaletta.

Quando tutto fu chiuso, Hector continuò a mugolare e abbaiare ogni momento. Sette o otto cani gli rispondevano uno qua, uno là, vicino, lontano. Urli, muggiti, ringhi, squittii, partivano a intervalli dal serraglio in fondo al viale. I cani allora, tutti insieme, ululavano.

Una compagnia di giovinotti, mezzi brilli, traversava la piazza cantando. Qualcuno gettava delle pietre, provocando nuovi urli e abbaiamenti. Dopo la una, un lungo silenzio.

La piazza, il monumento a Garibaldi, i viali, le tende bianche, calate, delle giostre, dei musei, dei ber-