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giustamente, diceva Celanzi, che, se fosse stato vivo, si sarebbe difeso con nuove calunnie, con nuove menzogne. Sì... Ma quando se lo raffigurava disteso nel proprio sangue, gli occhi spenti, il collo squarciato dal coltello, non poteva a meno di compiangerlo. Lo amava: gli perdonava tutto. Era una follia; ma il suo cuore era fatto così; non poteva dimenticare, nè cessar d’amare quando una volta aveva amato. Forse, se Paolo fosse vissuto, l’avrebbe dimenticato, avrebbe cessato di amarlo; così, non poteva. Ripensava ai primi giorni in cui Paolo si era mostrato nel paese, all’impressione che le aveva fatto subito; all’amore che le dimostrava. E si inteneriva, e non poteva dormire. Se non fosse stata l’Annetta egli avrebbe amato lei, lei sola, e l’avrebbe sposata.

Come tutte le donne veramente appassionate, irragionevoli, ma sincere nel loro amore, ella trovava tutte le scuse per l’amato, mentre gravava di tutte le colpe la fortunata rivale.

La stanchezza finalmente la vinceva. I suoi occhi si chiudevano. Aveva brevi assopimenti, durante i quali i suoi pensieri diventavano sogni. In uno di questi sogni, era in treno, il vapore andava; il suo cuore andava più lesto del vapore. Alla stazione Leopoldo l’attendeva. Ella non voleva abbracciarlo. Era macchiato di sangue: il viso, le mani, il petto... Era il sangue di Paolo! Ma il suo povero babbo la supplicava di abbracciarlo, e piangeva, piangeva. Ella era