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— Coraggio!

— Ho paura, signor Celanzi, ho paura! È un momento terribile.

Anche Celanzi trepidava; perciò non rispose altro che con un. cenno del capo. La solennità del momento lo impressionava; la sua sicurezza svaniva; non avrebbe più osato dire: «lo assolveranno» come tante volte aveva detto. I suoi occhi non potevano staccarsi dal banco dei giurati. Quelle dodici teste, che egli cercava indarno di penetrare, gli davano le vertigini.

Il più tranquillo era l’accusato. La forte replica dell’avvocato, amico di Celanzi, gli era piaciuta. Aveva parlato, quel giovine intelligente, come avrebbe voluto parlare lui. Era soddisfatto: non si curava del resto. Purchè non gli dicessero che era demente, come quegli odiosi periti, egli avrebbe subita anche una grave condanna senza troppo lagnarsi.

Marco Fabbi non riesciva a dominare la propria inquietudine, neppure irrigidendosi come Emma e Celanzi. Era nervoso; girava intorno gli occhi rotondi, di presbite che vede tutto, che vede troppo; e giudicava ogni cosa dal peggior punto: il presidente era un noioso pedante che andava istupidendo sempre più quelle marmotte: il procuratore del re aveva un sorriso mefistofelico: l’avvocato della parte civile si arricciava i baffetti color di canapa, sicuro del trionfo: tutto male, insomma. Si chinava in avanti per dire