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menti dei poveri campagnuoli e facevano tutto il possibile per sollevare la loro miseria.
Non riescivano a vincere tutte le diffidenze e le superstizioni. Impossibile!
Per molti, Emma era sempre la «ganza,» la «zingara»; ma i beneficiati non potevano a meno di amarla e, non foss’altro, di compatirla.
Felice del bene che poteva fare, ella non indagava quello che pensavano di lei.
Una sventura, grandissima, la minacciava: il suo adorato padre scendeva verso il sepolcro.
Il vecchio dottore, il vecchio amico, lo interrogava con insistenza, allarmato da certi sintomi che gli parevano gravi assai.
— Sciocchezze! Sto benissimo — rispondeva Leopoldo ridendo; e non voleva sentir altro.
Emma stessa diceva che non le era mai parso così giovine e così bello.
E queste parole lo inebbriavano.
Bello? Giovine? Ella dunque poteva amarlo?
Si sentiva, davvero, come a vent’anni, allorchè questa lusinghiera speranza accendeva la sua fantasia.
Ma il dottore crollava la bianca testa e si allontanava borbottando.
Un fatto ineluttabile si compiva.
Il ritorno della intelligenza, dell’attività, della vita normale, insomma, non aveva trovato nel corpo logoro la necessaria resistenza. La delicata compagine