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Si struggeva di sapere, con quella sete di amare certezze, che è il peggiore dei supplizi.

La chiamava a sè; la interrogava abilmente, suggestivamente, come nel tempo passato, quando voleva vederla felice a qualunque costo.

A volte gli pareva di aver capito.

Sì, essa amava Andrea. Mentre stava lì accanto a lui, paziente e sommessa, il suo pensiero viaggiavi, viaggiava; faceva il giro del mondo col fortunato viaggiatore, si fermava sull’agile prora del bastimento. Che gli giovava, povero demente, che gli giovava di aver lasciato che Andrea partisse, se il cuore di Emma lo seguiva?

Come era felice quel suo eterno rivale!

Giovine, amato.

Esporsi a mille pericoli, sfidare gli uomini e la natura, ma essere amato: sapere che in un piccolo angolo di questo mondo esiste un cuore tutto nostro, che soffre per noi, che ci segue da per tutto: al centro dell’Africa, tra i geli del polo: un cuore che nessuno ci può rapire. O felicità! Sovrumana felicità! Sotto l’impressione di questo fatale convincimento Leopoldo non poteva dominarsi.

Per nascondere il suo misero stato, si chiudeva in camera a piangere, non più pazzo, furente.

Ma così non poteva durare. Ritornavano i buoni dubbi, le tenere ricerche, le tenui speranze, i sogni roventi.