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142 nell’ingranaggio


Stavano prendendo il caffè, allorchè il domestico si affacciò all’uscio annunziando che il telefono, collocato nello studio del Banchiere, aveva dato il segnale di chiamata.

Egli si alzò senza dimostrare troppa premura e andò a ricevere il messaggio aereo, seguito soltanto da Lea, che era sempre molto curiosa di assistere a quelle misteriose conversazioni.

Edvige e Gilda si alzarono da tavola e si avvicinarono all’uscio, prese da una ansietà che le avvicinava.

Non andò molto che sentirono rinchiudere lo sportello; il Banchiere fece alcuni passi nel suo studio, e, da un leggero fruscio di seta, compresero che indossava il suo soprabito.

Quando ricomparve nella sala era pronto per uscire. Camminava con passo rapido e fermo, a testa alta, col viso illuminato da una soddisfazione che lo trasfigurava. Pareva un trionfatore.

— Tutto va bene! — esclamò con un tono di voce quasi fischiarne. — Il complice del ladro... avvocato Anselmi (impossibile dare un’idea della espressione di disprezzo con cui egli pronunziò questo nome) si è dato una revolverata!...

Gilda mandò un grido di orrore.

Edvige non fiatò; l’insulto di suo marito l’aveva fatta vacillare.

— È una bella cosa questa! — riprese a dire il Banchiere con animazione febbrile: — questa revolverata compie la salvezza della mia banca, della fabbrica e di tutti gli azionisti!

— Ma dove è avvenuta? — Si azzardò a domandare la signora Edvige — e come ha saputo, quello?...