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nell’ingranaggio 191

delle donne diseredate dalla grazia, per le quali la bontà e la indulgenza sono virtù tanto difficili e meritorie, decomponeva pure il carattere della povera serva, istintivamente non cattiva, ma ignorante ed esacerbata.

— Ma le pare? — disse con voce dura, sbarrando il passo alla giovine — che direbbe il medico di tanta sfacciataggine?

Gilda allibì. Non s’aspettava questa opposizione da parte della Sabina. Scorata, si ritrasse, andò a sedere in un angolo e si sciolse in lagrime.

La Sabina si contentò di guardarla, camminando in su e in giù nella penombra della cucina, mentre aspettava che Marco tornasse dalla farmacia, e Giacomo era disceso in cantina a prendere dell’altro ghiaccio.

La mitezza della fanciulla e il suo ineffabile dolore, così ingenuamente manifestato, le cagionavano una inquietudine che aumentava il suo rodimento. Capiva di essere stata troppo sgarbata, di avere ceduto a un impeto di malumore; ma questo non valeva che a inasprirla di più.

Intanto arrivò Marco con le medicine e si diresse verso le camere.

Gilda balzò in piedi. Raggiunse il domestico, prese dalle sue mani rinvolto che stava portando e corse alla camera di Giovanni.

L’uscio era spalancato.

Ella sollevò la portiera di velluto e si fermò sulla soglia un istante.

Non era mai penetrata là dentro.

Il passo che stava per fare era molto grave. Passando per quel semplice uscio, ella decideva forse irreparabilmente di tutta la sua esistenza.

Forse....