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bandonata da Dio ero, secondo lei; indegna di camminare sulla terra perchè svegliandomi il mattino, il mio primo pensiero era di correr fuori; l’ultimo, di ringraziare il Signore che mi aveva protetta durante il sonno.

Disgraziatamente, tali argomenti terribili avevano poca presa sul mio temperamento. Peggio ancora: agivano a rovescio. Crollavo le spalle, forse per cacciare dal mio cuore l’inconscia amarezza, e poichè non potevo reagire altro che scappando, approfittavo largamente di questo unico mezzo.

Fuori di là ero padrona io. E prima che quelle vecchie mi raggiungessero, ce ne voleva!

Quando scappavo mi voltavo a guardare la casa antipatica, la corte noiosamente monotona colla sua forma rettangolare, i muri alti e massicci, il pesante cancello; e quella vista rinforzava nel mio cuore il desiderio di fuggire. La salutavo con un gesto birichino, e, via, a gambe levate. Il mondo si trasformava improvvisamente davanti ai miei occhi. Mi sentivo libera, signora e padrona. I lunghi viali ombreggiati; i filari carichi d’uva o i gelsi carichi di more; i prati di un verde intenso smaltato di fiori; i rossi tappeti del trifoglio; gli stagni dove s’abbeveravano le mandre; i nidi degli uccelli; le bacche rosse dei ginepri; e, sopra ogni cosa cari, i boschi ed il mare: il mare con la sua spiaggia scoscesa, ricca di migliaia e migliaia di conchiglie, tutto era mio, di tutto io potevo godere!...

E quando pioveva e bisognava rincasare prima di notte, mi insinuavo nel cortile per la piccola porta posteriore, e col grembialino carico di spighe di granoturco immaturo entravo nella cucina dei coloni, per farle cuocere sulla brace ardente e mangiarle insieme ai piccoli contadini miei fidi amici.