Pagina:Speraz - Signorine povere.djvu/260

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non vogliamo illuderci: se non possiamo o non vogliamo accettare l’inganno come cosa vera, perdiamo inutilmente la giovinezza c ci condanniamo alla solitudine, al nulla.

— Meglio il nulla che l’inganno; e meglio di tutto morire.

Maria non replicò lì per lì. Restò pensosa. Poi guardò la candela a metà consumata.

— Dev’essere tardi — disse.

Antonietta guardò il suo orologio: erano le due.

Tacquero, assorte. Si erano buttate giù come per dormire. Un bioccolo di cera si staccò dalla candela e cadde nella padellina, con un lieve rumore. Maria tornò a sollevarsi sulle coltri e fissò la compagna col suo sguardo più limpido e sfolgorante.

— Morire?... Io voglio vivere. Io amo la vita. Qualunque debba essere il mio destino, io voglio che si compia: sono curiosa di vedere cosa succederà. Ho ventidue anni. Chi sa quante cose potrò vedere, imparare, in altri trenta o quarantanni. Tu hai detto che è meglio sapere, pure soffrendo, che vivere nell’inganno. Ebbene, io applico questa sentenza a tutto, non solo all’amore, che non può essere tutto, sebbene sia forse la cosa più importante della nostra vita. Se morissi adesso, chissà quanti errori porterei con me. L’esperienza, lo studio, le scoperte che gli scienziati vanno facendo sempre più grandi e numerose, il movimento sociale, chissà quante