Pagina:Speraz - Signorine povere.djvu/345

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Dopo colazione andarono a passeggiare nei prati, lungo i declivi, su quell’erba così morbida, così soffice, sulla quale è tanto dolce abbandonarsi e scivolare dall’alto di un pendìo, come in un sogno. Quanti fiori tra l’alte erbe, quanti baci d’amore! Trifogli rossi ardenti di passione, bottoni d’oro fulgidi e ridenti, bianche margherite stellanti nel verde: baci teneri, fragranti, lunghi, infiniti, cocenti come lingue di fuoco, lancinanti come lame di acciaio. E le alte piante mormoravano dolcemente, dondolando le tenui vette su i bellissimi corpi degli amanti stretti in un lungo amplesso.

Nel bosco, nel bosco. Là erano più alte e maestose le piante, più folta l’erba, più vividi i fiori, più misteriose le ombre.

Vi entrarono ridendo, scherzando, rincorrendosi, come due creature semplici, primitive, fuori del mondo. Ma il bosco diveniva sempre più fitto e ombroso; poi gli alti fusti si allontanavano improvvisamente formando una magnifica sala contornata da meravigliose arcate. Da una parte le arcate s’inseguivano in una lunga galleria fra due grosse muraglie verdi. Da un altro lato invece, le quercie e i faggi formavano tre navate parallele, maestose, eccelse. Quello doveva essere uno dei grandi templi dell’umanità primitiva, sacrato al vero Iddio.

I due amanti si smarrirono nelle immense