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navate, nei bizzarri intercolonni. Quanto tempo rimasero nella selva? Un istante e un secolo. Vi entrarono ridendo: ne uscirono inebbriati. Antonietta però aveva pianto, ma nascondendo le sue lagrime. La morte, di cui s’era dimenticata nel gaudio supremo, si ripresentava al suo spirito.

Il sole ch’ella non doveva mai più rivedere nella raggiante aurora, volgeva al tramonto. Sono già brevi i giorni nelle valli quando il settembre muore. Ella camminava guardando dinanzi a sè gli alti steli delle erbe che si curvavano sotto ai suoi passi. Le ombre lunghe degli alberi la facevano trasalire.

— Antonietta, mia adorata, perchè sci tanto mesta? Non piangere, amor mio. L’Africa non mi ucciderà; da qui a pochi mesi mi rivedrai e ti sposerò e saremo uniti per sempre.

Rimontarono in carrozza per ritornare a Lecco. Le ombre della sera invadevano la campagna; l’aria secca e fragrante del mattino si era fatta umida e greve; densi vapori salivano dalle valli. Lungo la strada, sulle alte rupi, sull’orlo dei precipizi sorgevano croci di ferro o di pietra, le cui leggende pietose, rammentavano disgrazie mortali; là il fulmine aveva ucciso un pastore, qua un masso enorme staccatosi dalla costa aveva schiacciato tre vittime; più lontano una bella croce di pietra raccomandava alla pietà dei passanti un uomo assassinato da grassatori, e via e via.