Pagina:Speraz - Signorine povere.djvu/420

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starsene sola nella sua camera, per rituffarsi nel suo dolore e invocare la morte che non veniva. Ma sue padre non le permetteva di restar sola. La obbligava a seguirlo nella Galleria popolare, ad assistere alle sue lezioni e alle spiegazioni di ogni singolo quadro che egli faceva al suo attento uditorio. E là nuove emozioni richiamavano il cuore sventurato alla vita nuova.

Era trascorso un anno dalla morte d’Isidoro, e Antonietta, che aveva creduto di raggiungerlo prima di quel termine, doveva riconoscere che la vita esteriore — una vita affatto diversa da quella in cui ella riponeva, un tempo, ogni speranza di gioia — aveva per lei nuovi incanti e un fascino inaspettato. Pensare, lavorare, darsi tutta alla propaganda di un principio che le appariva di giorno in giorno più vasto e più bello: aiutare le vittime dell’ignoranza a uscire dalle tenebre, aprire i loro occhi alla luce del pensiero, essere lei stessa, lei derelitta, lei che la morte aveva rifiutata, essere tra i combattenti in prima linea, tra i pionieri che aprono la nuova strada all’umanità, ecco ciò che la vita le offriva ancora, ecco l’incanto supremo che aveva la forza di legarla nuovamente alla terra.

Doveva ella resistere? Doveva strapparsi a quel nuovo incanto? Rinunciare al bene che poteva ancora fare nella vita con le sue forze giovani, con la sua energia rinnovata?... Non era assurdo? Non era forse un nuovo delitto?