Pagina:Speraz - Signorine povere.djvu/426

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Era quello il tempo in cui Antonietta soffriva ancora atrocemente; e Maria rispose al delicato accenno con la più grande semplicità:

— Essere felici, mentre tua sorella aspetta e invoca la morte? Non dobbiamo neppur pensarci. — Egli non replicò.

Ma una sera d’aprile, si ritrovarono ancora soli. Antonietta era rimasta a casa per scrivere l’ultimo capitolo del suo libro; Paolo era ritornato a Milano col treno delle quattro per assistere Leonardo nelle spiegazioni dei quadri, non potendo egli bastare alla gente che affluiva tutte le domeniche, sempre più numerosa.

Invece della ferrovia, i due giovani avevano preso un tram che passava per le campagne di Paolo Venturi, ed era per ciò più comodo. Pochi viaggiatori su quella linea a quell’ora. Nella vettura di prima classe essi soli montarono.

Da principio parlarono della loro giornata operosa, dei contadini, di certi fanciulli singolarmente svegli e vogliosi di apprendere. Questo argomento parve improvvisamente esaurito, e tacquero entrambi.

Il piccolo convoglio andava lentamente: la campagna nera, silenziosa, fredda, coperta qua e là di neve, pareva morta. La primavera era in ritardo quell’anno.

I due giovani guardavano traverso i vetri la malinconica pianura, pensando a tutt’altro. Riccardo ruppe il silenzio.