Pagina:Speraz - Signorine povere.djvu/427

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— Hai visto quei due sposi stamane?

— Sì. Ebbene?

— Quando arriverà il nostro giorno?

— Non sai dunque che l’amore mi fa paura più di qualunque sofferenza? Non sai cosa voglia dire avere amato un vilfe, un indegno?

— So tutto, Maria.

— Tutto? No. Voglio raccontarti.

Ed ella raccontò dal principio alla fine il suo triste romanzo di fanciulla: come aveva amato Faustino, come la diffidenza era entrata nel suo cuore, come un giorno lui, Riccardo, stringendola fra le sue braccia, le avesse appreso a diffidare anche di sè stessa: come il suo cuore fosse ritornato quasi per ragionamento a Faustino che intanto le preparava la più amara delusione. E raccontò pure tutto l’intrigo delle trecentomila lire; e le astuzie e le ipocrisie a cui quell’uomo non si era vergognato di ricorrere, nella speranza di vincerla: vale a dire di non perdere l’eredità.

— Dunque — esclamò Riccardo — tu potevi essere ricca?

— Sì: sposando il cavalier Belli.

— E hai rifiutato. Non sei soddisfatta della tua forza di resistenza?

— No. Ho sofferto troppo. E poi quel demone mi aveva instillato il suo veleno, e mio malgrado pensavo che l’amore senza la ricchezza, senza un contorno di lusso, di eleganza, di squisitezza