Pagina:Speraz - Signorine povere.djvu/51

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Maria represse un amaro sorriso.

— Perdonami, Eugenia, non volevo offenderti. Ho parlato così nell’impeto perchè mi fa rabbia che Luciano non ti sposi.

Bonacciona, quanto superficiale, Eugenia fu subito intenerita.

— Ti credo, sì. Neppure io ho voluto offenderti. Il tuo cuore non può essere freddo.

Si abbracciarono.

La signora Valmeroni chiamò la figliuola.

— Devo andare. Forse è già ora di vestirsi. Vuoi vedere il mio costumino?

— Grazie: lo vedrò un altro giorno. È meglio che tu non dica alla mamma che io so: potrebbe dispiacerle. E per il babbo e per Riccardo, dove siete?

— Io a letto: la mamma, dalla Bergamini. Addio, Maria. — E scappò esultante.

Una profonda tristezza invadeva l’anima della giovane maestra. Si sentiva oppressa, abbattuta. Pensò ai quaderni delle sue scolarine, che doveva finir di correggere; e questo lavoro le parve un fastidio quasi intollerabile. Dietro ai quaderni tutta la sua vita di maestra le si affacciò sotto una luce grigia, quasi tetra, che le riusciva nuova e scoraggiante. La scuola, le lezioni, quelle birichine indisciplinate, sempre pronte ad approfittare della menoma distrazione della maestra, le delusioni, le ingratitudini, le fatiche troppo spesso inutili e la noia, la noia