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136 la dama della regina

Nel salotto di donna Anna Maria si trovavano già, con quelli di casa e con Bianca Verdier, le signore Alvisi madre e figlia e il reduce Ettore Almerighi. I tre fedeli adoratori del leone alato, ancora tutti vibranti de’ loro discorsi, si precipitarono nella tranquilla e imponente sala, e appena salutate le dame, circondarono Almerighi. Il capitano Gori che da qualche anno lo trattava con molta freddezza, gli buttò le braccia al collo; mentre gli altri due gli davano dei colpetti sulle spalle, gli stringevano le mani, gli palpavano le braccia e si congratulavano, fissandolo con gli occhi imbambolati. Il capitano lo chiamava nipote.

Il podestà, sempre guardingo, si era avvicinato alle signore; e don Ludovico ad Aurelio che, sorridente, si godeva la scena.

— Grazie, mille grazie, amici — ripeteva Ettore con un certo stupore. — Troppo buoni, davvero. Grazie, cugino capitano: non sei mio zio, ma se ti fa piacere ti chiamerò ancora zio come quando ero piccolo. Grazie, cacciatore. Ma tu, Annibale, perchè mi strappi le maniche?

— Sei nostro: preferisci stare qui che a Venezia.

— Tutto l’inverno starai con noi, ho sentito.

— Ma sì. Vi fa tanto piacere? Curiosa! Non l’avrei sospettato.