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di lui: è un’attività interiore, immanente, non tran­seunte in altro.

Prop. 18. Dio è causa immanente di tutte le cose non tran­seunte.

Già nel Trattato breve Spinoza dice: «Dio è causa immanente, non transeunte, perchè opera tutto in sè e nulla fuori di sè; poichè fuori di Dio non vi è nulla». E la stessa dottrina ripete con le stesse parole nella lettera 73 (del 1675) richiamandosi alle note parole di Paolo (Acta Ap., XVII, 28): «In ipso enim vivimus et movemur et sumus». Egli riconosce di trovarsi, su questo punto, in opposizione con la filosofia tradizio­nale: per quanto anche in questo avrebbe potuto tro­vare un antecedente nella dottrina della creazione con­tinua: concetto già accolto da Agostino, da Tommaso d’Aquino e da Cartesio, che Spinoza espone nei Cogi­tata metaphysica (I, 3, e II, 11).

La conseguenza diretta di questa proposizione è il panteismo, l’identità del mondo e di Dio. Ma come deve essere intesa questa identità? Essa è stata qualche volta intesa come riduzione di Dio al mondo: e così è stato spesso interpretato Spinoza, specialmente dalla filosofia naturalista. Questo panteismo è in realtà un ateismo: quando si riduce Dio alla natura, si accoglie in fondo una forma di ateismo naturalistico. Ma questa inter­pretazione è da escludere: il Deus sive natura di Spi­noza ha tutt’altro senso. «Se alcuni credono (scrive nella lett. 73) che il Trattato teologico politico miri ad identificare Dio e la natura, intesa questa come una massa estesa, come la materia corporea, essi sbagliano completamente strada».

La conseguenza sarebbe poco diversa anche inten­dendo per Natura l’ordine interiore delle cose finite e delle loro leggi, l’insieme eterno di principii che sem­brano reggere il corso della realtà esteriore: chiamare Dio l’insieme di questi principii è solo introdurre un concetto vago, vuoto, logicamente incoerente. È vero