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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/196

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190 appendice


VI

Del medesimo.

     Se ’l veder e l’udir splendor e canto,
al divino simile ed al celeste,
cui mira e sente ognor, anzi che veste
anima il frale suo terreno manto,
     due scale son, che nostre menti al santo
seggio, mortale, u’ nettar giá pasceste,
riducer ponno, que’ begli occhi e queste
care voci mirate e udite alquanto,
     di lei, ch’allor che la natura vòlse
formar, da la piú vaga idea, ch’in mente
fosse di Dio, l’altero essempio tolse.
     Sí direte poggiando al ciel sovente:
— Te, nata con le muse, in grembo accolse
Venere, o Stampa, o sol piú ch’altro ardente.


VII

Di Leonardo Emo.

     Qual sacro ingegno o ’n prosa sciolta o ’n rima,
con dir alto e leggiadro studio ed arte
dirá di vostre lodi una sol parte,
di voi, donna lodata in ogni clima?
     Altra non fu mai tal, se ’l ver s’estima,
che voi pareggi, onde natura ha sparte
tutte sue grazie, e le virtú comparte
per farvi de le belle oggi la prima.
     E come ’l sol, ch’ogn’altra luce avanza,
e da noi scaccia l’ombre e apporta il lume,
cosí ’l vostro valor mostrate in nui.
     Amor, che ne’ vostr’occhi ha la sua stanza,
mi fece al cor l’usato suo costume,
per farmi a voi soggetto, e non d’altrui.