Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/240

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     91Di viva neve man candida e pura,
che dolcemente il cor m’ardi e consumi
per miraeoi d’Amor fuor di natura,
     94e voi, celesti e graziosi lumi,
ch’ardor e refrigerio in un mi séte,
e parer gli altrui rai fate ombre e fumi,
     97perch’a me ’1 vostro aviso contendete?
e non piú tosto con pietosi modi
al mio soccorso, oimè, vi rivolgete?
     100Né però chieggio che disciolga i nodi,
che ’ntorno al cor m’ordio la man si vaga,
né che in alcuna parte men m’annodi ;
     103non chiedo ch’entro al sen saldi la piaga
il bel guardo gentil, che in me l’impresse,
d’amor con arte lusinghiera e vaga:
     106da quelle mani e da le braccia stesse
esser bramo raccolto in cortesia,
e che ’l mio laccio stringan piú sempre esse:
     109bramo che quella vista umana e pia
si volga al mio diletto, e del bel viso
e de la bocca avara non mi sia.
     112Oh che grato e felice paradiso,
dal goder le bellezze in voi si rade
non si trovar giamai, donna, diviso:
     115donna di vera ed unica beltade,
e di costumi adorna e di virtude,
con senil senno in giovenil etade!
     118Oh che dolce mirar le membra ignude,
e piú dolce languir in grembo a loro,
ch’or a torto mi son si scarse e crude!
     121Prenderei con le mani il forbito oro
de le trecce, tirando de l’offesa,
pian piano, in mia vendetta il fin tesoro.
     124Quando giacete ne le piume stesa,
che soave assalirvi ! e in quella guisa
levarvi ogni riparo, ogni difesa!