Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/311

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i - terze rime 305

     172E, quand’io non sia degna d’impetrarlo,
per alcun vanto espresso che ’n me sia,
da la vostra bontá voglio sperarlo;
     175da la vostra infinita cortesia,
benché convien a l’amor ch’io vi porto,
che da voi ricompensa mi si dia.
     178E, facendo altrimenti, avreste il torto:
ond’io, per non far debil mia ragione,
del dever v’ammonisco, e non v’essorto.
     181Si voglion certo amar quelle persone,
da le quai noi amati si sentimo:
cosi la buona civiltá dispone;
     184e tanto importa ad amar esser primo,
che, se l’amato a ridamar non vola,
macchia ogni sua virtú d’oscuro limo.
     187Questo è, che mi confida e mi consola:
che cader non vorrete in cotal fallo,
ch’ogni ornamento a la virtute invola.
     190Come bel fiore in lucido cristallo,
traspar ne le vestigie vostre esterne
lo spirto, ch’altrui rado il ciel tal dállo:
     193l’alma in voi nel sembiante si discerne,
che di vaghezza esterior contende
con le virtuti de la mente interne.
     196Ben chi è tal, se lo specchio inanzi prende,
dilettato dal ben che ’n lui fuor vede,
a far simile al volto il senno attende;
     199e, mentre move per tai scale il piede,
nel proporzionar tal di se stesso,
ogni condizion mortale eccede.
     202Beato voi, cui far questo è concesso,
e cotanto alto giá sète salito,
che nullo avete sopra, e pochi presso!
     205Ben quindi fate ognor cortese invito,
le man porgendo altrui, perché su monti,
di zelo pien di caritá infinito;
G. Stampa e V. Franco, Jtimc.