Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/347

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i - terze rime 341

     136I fini marmi e i porfidi lucenti,
cornici, archi, colonne, intagli e fregi,
figure, prospettive, ori ed argenti
     139quivi son di tal sorte e di tai pregi,
ch’a tal grado non giungono i palagi,
che fèr gli antichi iniperadori e regi.
     142Ma le commoditá di dentro e gli agi
son cosí molli, che gli altrui diletti
al par di questi sembrano disagi.
     145Per li celati d’òr vaghi ricetti,
sul pavimento, che qual gemma splende,
stan sopra aurati piè candidi letti.
     148Di sopra da ciascun d’intorno pende
di varia seta e d’òr porpora intesta,
che ’l contegno de’ letti abbraccia e prende;
     151di coltre ricamata o d’altra vesta
di ricca tela ognun s’adorna e copre,
si ch’a fornirlo ben nulla gli resta.
     154Di diversi disegni e diverse opre
su coverte e cortine in tutti i lati
vario e lungo artificio si discopre.
     157I dèi scender dal cielo innamorati
dietro le ninfe qui si veggon finti,
in diverse figure trasformati;
     160e d’amoroso affetto in vista tinti,
seguitar ansiosi il lor desio,
dove dal caldo incendio son sospinti.
     163Qui trasformata in vacca si vede Io,
e cent’occhi serrar il suo custode,
al suon di quel, che poi l’uccise, dio.
     166Da l’altra parte Danae in sen si gode
vedersi piover Giove in nembo d’oro,
dov’altri piú la chiude e la custode;
     169il quale altrove, trasformato in toro,
porta Europa; ed altrove, aquila, piglia
Ganimede e ’I rapisce al sommo coro.