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LIV

Il pianto tempra l’ardore, ond’ella vive.

     Se non temprasse il foco del mio core
l’umor, che verso per gli occhi sí spesso,
io avrei visto giá di morte il messo,
e l’alma ad ubidirla uscita fore;
     perché la speme omai cede al timore,
ed ogni cosa mia soggiace ad esso,
poi che si vede a mille segni espresso
che chi può farlo vuole il mio dolore.
     Dunque, s’io vivo, è mercé del mio pianto;
s’io moro, è colpa de le crude voglie
del mio signor, in vista dolce tanto.
     Ei mi legò sí ch’altri non mi scioglie,
ei vuol aver de la mia morte il vanto.
O poco chiare ed onorate spoglie!


LV

Egli ha due cuori: il suo e quel di lei...

     Voi, che ’n marmi, in colori, in bronzo, in cera
imitate e vincete la natura,
formando questa e quell’altra figura,
che poi somigli a la sua forma vera,
     venite tutti in graziosa schiera
a formar la piú bella creatura,
che facesse giamai la prima cura,
poi che con le sue man fe’ la primiera.
     Ritraggete il mio conte, e siavi a mente
qual è dentro ritrarlo, e qual è fore;
sí che a tanta opra non manchi niente.
     Fategli solamente doppio il core,
come vedrete ch’egli ha veramente
il suo e ’l mio, che gli ha donato Amore.