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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/54

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LXXXIII

Rimpianto delle gioie passate.

     Oimè, le notti mie colme di gioia,
i dí tranquilli, e la serena vita,
come mi tolse amara dipartita,
e converse il mio stato tutto in noia!
     E perché temo ancor (che piú m’annoia)
che la memoria mia sia dipartita
da quel conte crudel, che m’ha ferita,
che mi resta altro omai, se non ch’io moia?
     E vo’ morir, ché rimirar d’altrui
quel che fu mio quest’ocohi non potranno,
perché mirar non sanno altri che lui.
     Prendano essempio l’altre che verranno
a non mandar tant’oltra i disir sui,
che ritrar non si possan da l’inganno.


LXXXIV

S’egli non torna presto, ella ne morrá.

     O sacro, amato e grazioso aspetto,
o piú che ’l chiaro sol lucenti lumi,
o sangue illustre, angelici costumi,
o alto ingegno, altissimo intelletto,
     o colmi di prudenzia e di diletto,
d’eloquenzia profondi e larghi fiumi,
o finalmente, ond’io piú mi consumi,
d’ogni grazia e virtú, conte, ricetto,
     qual contra a’ miei disir stella empia e cruda
giá mi vi tolse, ed or vi tien discosto
contra la fé che voi mi deste pria?
     O morte dunque queste luci chiuda,
od apritele voi tornando tosto;
perché cosí non so quel ch’io mi sia.