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CXV

Egli rivolga a sé le rime che scrive per lei.

     Quelle rime onorate e quell’ingegno,
pari a la beltá vostra e al gran valore,
rivolgete a voi stesso in far onore,
conte, come di lor soggetto degno;
     o trovate di me piú altero pegno,
se pur uscir da voi volete fore,
perché a sí larga vena, a tanto umore
son per me troppo frale e secco segno,
     e non ho parte in me d’esser cantata,
se non perch’amo e riverisco voi
oltra ogni umana, oltra ogni forma usata.
     Sí chiara fiamma merta i pregi suoi;
in questa parte io deggio esser cantata
fin ch’io sia viva, eternamente, e poi.


CXVI

Sullo stesso argomento.

     Lodate i chiari lumi, ove mirando
perdei me stessa, e quel bel viso umano,
da cui vibrò lo stral, mosse la mano
Amor, quando da me mi pose in bando.
     Lodate il valor vostro alto e mirando,
ch’al valor d’Alessandro è prossimano:
sallo il gran re, sallo il paese strano,
che di voi e di lui vanno parlando.
     Lodate il senno, a cui non è simíle
nel bel verde degli anni; e, quel che ’n carte
vedrò famoso, il vostro ingegno e stile.
     In me, signor, non è pur una parte,
che non sia tutta indegna e tutta vile,
per cui sí vaghe rime sieno sparte.