Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/252

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nulla per farvi amare e vi fate amare perchè appunto non sollecitate mai nulla.

— Non vi capisco, — disse Noris, — ma sento ancora nella vostra voce l’intenzione di ferirmi.

— Forse, — convenne, aspra, la Fabbri, — sento un gran desiderio di vendicare la vostra seconda morta.

— Lasciatela riposare in pace come si è spenta! — implorò Noris con voce stanca. — Se sapeste quale creatura di dolcezza essa è stata, sentireste che il desiderio della vendetta non poteva essere vivo in lei!

Soggiunse, incoraggiate dal silenzio della sua compagna:

— Non parliamone più: volete? non dimenticate che stiamo insieme per l’ultima sera. Chissà per quanti giorni non ci rivedremo più, poi!

Minerva pensò:

— Per quanti mesi non ci rivedremo più!

Il suo pensiero corse al proposito concepito ed accolto: andarsene lontano, nell’India, e non tornare più fin che non fosse intervenuta la guarigione. E le parve a un tratto eccessivo quel progetto e inadeguato allo scopo che si proponeva.

Era proprio necessario che ella andasse nell’India per sfuggire al pericolo d’amare Ettore Noris?

Adesso, le pareva che quel pericolo non esistesse più, che il giovane le fosse diventato ad un tratto indifferente, anzi, che le disposizioni del suo spirito verso di lui fossero tutte di antipatia e di ostilità. La sfinge s’era un poco svelata e col mistero aveva perduto anche il fascino. Non era più, Noris, la statua che bisognava animare; era semplicemente un debole schiavo sino alla fissazione e fino alla crudeltà d’una subita impressione di dolore e di orrore.

Rispondendo alla domanda che egli le ripeteva, disse con voce indifferente:

— Sì, mutiamo discorso, è meglio.