Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/270

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— Vengo con voi, — fu la risposta accolta con un palpito dal piccolo cuore ansioso, senza un battere di ciglio, dal bianco viso marmoreo improntato di energia e di fierezza.

Il giovinetto che aveva udito la proposta e la risposta, approvò in cuor suo Ettore Noris. Sì, ora più lusinghiero andarsene attraverso la campagna colla bellissima amica, nella doppia ebbrezza di quella vicinanza e della fuga vertiginosa, che non fermarsi a Genova, fra, gli amici, col pranzo al Lido e la serata in qualche ridotto per unica prospettiva.

Egli approvò Ettore Noris e lo invidiò. Come avrebbe voluto trovarsi al suo posto!

— Venite su! — diceva Minerva Fabbri a Noris. E costui scambiava le ultime strette di mano cogli amici, coi colleghi, colle conoscenze nuove fatto in quel giorno solenne e si congedava da tutti con un sorriso di soddisfazione sincera.

Era contento.

Lo disse a Minerva Fabbri mentre prendeva posto accanto a lei, alla sua sinistra e la macchina cominciava a rombare con un sussulto di tutte le sue viscere.

— Su dunque, una bella corsa per chiudere degnamente la giornata bella.

Votre service! — disse con un sorriso arguto la fanciulla, — se non volete altro, sono disposta anche a fracassare la macchina per aggiungere una emozione alle vostre emozioni.

— Fin lì, no.

Paolo Adelio che aveva udito le parole della fanciulla intervenne.

— Per carità, un po’ di saggezza, piccola Minerva audace!

Noris lo rassicurò.

— Non aver paura. Si scherza.

— Tu sì, ma quella è una bizzarra personcina capace di qualsiasi follia.

— E dire che proprio voi mi avete denominata la saggia!

— Altri tempi!