Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/278

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— Direte al vostro celebro amico che mia madre mi ha lasciato una fortuna assai superiore ai miei bisogni e che io adoro la mia libertà al disopra di qualsiasi cosa.

— Nemica del matrimonio per principio, adunque?

— Non so, non ci ho pensato mai. Mai, vi giuro.

— Ma non vi pesa la vostra solitudine? — domandò Noris con altra voce, dimentico ora di Dauro, attratto di nuovo e soltanto dal mistero di quella strana anima.

Minerva si rivolse a guardarlo:

— A voi, la vostra, pesa?

— È un’altra cosa. Io sono un uomo. Ho il mio lavoro. E i miei ricordi, — soggiunse piano.

— E io ho il mio sogno.

- Ah! — fece Noris con voce lieta come se la scoperta lo rallegrasse assai, — voi avete un sogno, piccola saggia Minerva?

— Sì.

— Un grande sogno?

— Grande! — disse la voce con un’intensità di passione dentro che giunse fino all’anima del giovane.

— E ha un nome il vostro sogno?

— Ha un nome, sì.

— Oh! chi lo avrebbe mai sospettato! È triste o lieto il vostro sogno, o piccola Minerva?

— È grande come la vita e amaro come la morte!

— Si chiama passato o avvenire?

— Potrebbe chiamarsi avvenire se il passato non lo tenesse così inesorabilmente come i tentacoli di una piovra mostruosa.

Non l’ombra di un sospetto passò nel pensiero del giovane.

— Voi vincerete la piovra, — egli disse con una voce commossa che era ispirata soltanto da una grande bontà.

Senza nessun orgoglio più, Minerva esclamò:

— Dio vi ascolti!

E di nuovo fu il silenzio della confidenza triste e dolcissima.