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— Volete dire che non credete alla fedeltà del mio ricordo?
— Del vostro ricordo, sì; non del vostro amore.
— Perchè sarei come sono, allora? perchè non ascolterei anch’io, come tutti ascoltano, la voce della resurrezione e della vita?
— È quello che mi chiedo anch’io.
— E non trovate una risposta?
— E non la trovo. O meglio, la trovo in questa sola ipotesi: che ancora voi non abbiate incontrato la donna capace di riprendervi e di farvi rivivere.
Noris scrollò il capo e tacque.
L’automobile attraversava il paese movendo lentissima fra due ali di curiosi ch’erano usciti a osservare.
Anche quando ebbero oltrepassato il paese, Minerva mantenne alla vettura quella ridottissima velocità che le permetteva di terminare il suo discorso con Noris prima di giungere al villino.
— Forse, — riprese a dire la fanciulla, — se voi incontraste la donna degna di voi, più bella, più ardente, più audace, più forte, più appassionata di tutte quelle che hanno regnato nella vostra vita o nel vostro cuore o anche soltanto nella vostra pietà, voi vi lascereste vincere e riprendere.
— Non credo, — disse tranquillo Ettore Noris.
— Perchè?
— Perchè ormai mi pare proprio d’avere un’anima assolutamente refrattaria.
— Ma lasciate che ritorca a voi la domanda che voi mi avete fatto poco fa: non sentite mai, voi, la tristezza della vostra solitudine interiore? non sognate mai una donna bella e intelligente, nobile e appassionata; degna in tutto di voi, che vi aspettasse la sera quando rientrate e soffrisse per voi quando siete in pericolo, e fosse il premio della vostra audacia, della vostra fatica, del vostro eroismo?
— No, — disse senza esitare Ettore Noris.
Minerva Fabbri sentì quel «no» battere sul suo cuore come un coperchio sopra una tomba.