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— E — disse ancora — credete che non muterete mai?

— Non credo.

La fanciulla tacque.

L’automobile passava in questo momento dinanzi al villino abitato da Minerva e non accennava a fermarsi.

Noris osservò:

— Siamo arrivati.

— Io, non voi. Vi accompagno fino a casa vostra.

— Perchè? non occorre. Faccio volentieri due passi a piedi. A meno, — soggiunse mentre la fanciulla fermava la macchina, — a meno che non vogliate offrirmi una tazza di the. Sono le sette soltanto: potete prolungare la vostra ospitalità a favore della mia persona?

— Entrate, — fece semplicemente Minerva che era discesa dalla vettura e ritta sulla soglia della sua casetta si disponeva a ricevere l’amico con un tumulto di impressioni contradditorie dentro.

Ma sul tumulto si levava ancora alta e forte la voce dell’amore che superando anche lo strazio le diceva:

— Lo hai ancora per te, tutto soltanto per te per qualche ora.

Sì, una grande dolcezza, ma attraversata dalla constatazione d’una realtà che non le permetteva più di illudersi. A meno che anche Noris si ingannasse su sè stesso come per tanto tempo ella si era ingannata.

Lei pure avrebbe giurato — come adesso egli giurava — sulla propria invulnerabilità. Della volontà era possibile rispondere, non del sentimento. E che vale la volontà di fronte al cuore che offre mille porte invisibili all’assalto del nemico?

Forse, come era accaduto a lei, un giorno, fra poco, Noris si sarebbe accorto di avere nel cuore, nelle pupille, nel sangue ancora un volto di donna che non era più quello dell’amante morta. E tutto il suo proposito di sovrumana e disumana fedeltà, di voluta refrattarietà, di invulnera-

STENO. La veste d'amianto. 18*