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Arturo scivolò fuor della stanza e Van Helsing mormorò:

— Bisogna risvegliare Jonathan che pare sotto l’effetto d’un narcotico.

Immerse una salvietta nell’acqua e gliene sferzò il viso. Apersi le imposte. La luna brillava nuovamente; mi permise di vedere Quincy Morris attraversare il prato e nascondersi all’ombra d’un grande cipresso. Con quale scopo?

Harker si svegliò con un grido: un profondo stupore si dipinse sul suo viso.

— Che c’è? — balbettò.

Sua moglie gli tese le braccia, poi bruscamente se ne ricoperse il viso rabbrividendo.

— Che c’è? — replicò Jonathan. — Perchè quel sangue sul lenzuolo di Mina? Dio, Dio... il vampiro? È mai possibile?

Saltò giù dal letto e s’infilò rapidamente gli abiti.

— Bisogna salvar Mina, dottor Van Helsing — disse. — Io mi lancio all’inseguimento di quel miserabile. Occupatevi di lei.

— No, no, Jonathan — gridò Mina — non lasciarmi. Non voglio perderti!

Gli si avviticchiava disperatamente al collo.

— Non temete, figlia mia — disse Van Helsing dando alla giovine donna alcuni fiori di tuberosa — siamo qui noi che vegliamo.

Tutta tremante, ella nascose il volto contro il petto di suo marito. La piccola ferita al collo imprimeva sulla camicia di Jonathan due traccie rosse. A quella vista, ella singhiozzò gemendo:

— Impura! sono impura! Non posso più toccare mio marito! Sono la sua peggiore nemica!