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CAPO III. 43

teo da Mileto, predecessore di Erodoto, e uno de’ principali a dar fuori in istile sciolto la storia, potè tacere della vanità e stravaganza delle tradizioni già in quel tempo accreditate fra i suoi nazionali dalla sola vecchiezza1. I Greci antiquarj erano inoltre assai poco eruditi nelle cose proprie, non che nelle forestiere: per ciò Platone medesimo, sotto il nome de’ sacerdoti egizij ebbe a dire opportunamente quanto inconsiderata fosse in ciò la greca presunzione ed ignoranza2. A udire le lor costanti asserzioni, qualunque de’ greci o troiani eroi che abbia sopravvissuto alle sue gloriose fatiche, o sia scampato dal fuoco argivo, è stato strascinato dai fati a questa terra. Ercole, Giasone, Diomede, Ulisse, Antenore, Enea ed altri mille valorosi, navigarono in Italia, vi condussero colonie, o ebbero fine tra noi. Per modo che i Greci, attribuendosi con le forze della penna tutte le cose che fanno onore, si davano pure grandissimo vanto di aver nominate essi stessi, popolate, e incivilite le nostre contrade. Per opra loro l’antica storia italica perpetuamente collegata con genealogie e tradizioni poetiche, che dan per fatti e casi de’ popoli i fatali destini degli eroi, non fu che una mera finzione. E sì largamente le narrative tutte del ciclo mitico erano fregi di gloria e d’onore, che i dicitori greci d’ogni

  1. Οἱ γὰρ Ἑλλήνων λόγοι πολλοί τε καὶ γελοῖοι, ὡσ ἐμοὶ φαίνονται etc. Hecat. fragm. ap. Demetr. de Elocut. c.12
  2. In Tim. T. III p. 22